Miserabili. La forza di Valjean

Che cosa c'è di così potente nel capolavoro di Victor Hugo? Ecco un tentativo di risposta, che spazia dalle pagine di letteratura al musical, al cinema. Tra il rifiuto della dipendenza e la misericordia (da "Tracce", luglio/agosto 2016)
Paolo e Davide Prosperi

Chi è Jean Valjean? Quando lo incontriamo per la prima volta, lo vediamo impegnato a trascinare da solo l’enorme asta della bandiera di Francia, su ordine del carceriere Javert. I due si guardano: negli occhi di Javert indoviniamo un beffardo compiacimento. In quelli del carcerato, il fuoco dell’odio. Ecco dunque Jean Valjean: un galeotto dalla forza erculea. Da dove gli viene questa forza?

Valjean ha rubato, è vero, ma in realtà non si sente colpevole. Diciannove anni di carcere ha scontato per aver rubato un tozzo di pane - e neppure per se stesso. No, lui non si sente in debito. È la Francia, piuttosto, che è colpevole e debitrice verso di lui.
Non è, dunque, solo un dono di natura la spaventosa forza di Valjean: essa materializza l’impeto della sua collera, collera per quei diciannove anni rubati e che nessuno potrà mai restituirgli. E si tratta di una collera tanto ardente e potenzialmente devastante, quanto grande è la sua anima. Tutto, infatti, in Valjean è grande, anche se nessuno, tantomeno lui, ancora lo sa.
Questi pochi cenni già bastano a farci ampliare l’orizzonte. Valjean è se stesso e insieme più di se stesso: egli incarna lo spirito del suo tempo, nella sua forza arde la rabbia compressa di una generazione intera. Come i Marius, gli Enjoras, i Courfeyrac che incontreremo sulle barricate di Parigi, pronti a versare il loro sangue al grido di «Liberté, Égalité, Fraternité!», così anche Valjean è un uomo ferito dall’ingiustizia del mondo, dello Stato, della legge, della società.



Ma nella sua vita accade qualcosa che gli apre una strada diversa, e tuttavia una strada che lo porterà esattamente alla meta da questi bramata: «Innalziamo la bandiera della libertà, ogni uomo sarà un re!», cantano i giovani barricaderi il giorno prima della rivolta in cui quasi tutti perderanno la vita. In realtà è in Valjean che si avvera il sogno. Lui è l’uomo davvero liberato, l’uomo che, da schiavo che era, diventa “re”.
La metamorfosi avviene grazie a un incontro. Uscito di prigione, Jean Valjean vaga come un reietto. Anche se ha pagato, il suo sbaglio è un marchio a fuoco, che non può essere cancellato. Delinquente è stato, delinquente rimane: il suo nome è 24601, il numero di matricola.
Nel suo vagare, incontra il vescovo Myriel che lo accoglie in casa. Valjean di notte ruba l’argenteria e fugge, ma viene catturato e riportato al cospetto del Vescovo. Qui accade l’inimmaginabile. Myriel non solo afferma di avergli donato l’argenteria, ma gli rimprovera di aver dimenticato i doni più preziosi: due candelabri d’argento, che rivedremo verso la fine della storia. Valjean, infatti, non se ne priverà più. Non lo farà perché in quei candelabri è custodito il mistero dell’evento che da miserabile l’ha trasformato in un re.

Per comprendere, bisogna notare la finezza della corrispondenza: c’è una somiglianza segreta tra la situazione di Valjean all’uscita dal carcere e quella del Vescovo dopo il furto. Entrambi sono stati “derubati”. Ma Myriel non si infuria. Compie invece un gesto che ha il potere di dare un nuovo significato all’accaduto, pur senza cancellarne l’ingiustizia: dona a Valjean quel che questi gli aveva portato via con l’inganno. Anzi, aggiunge dell’altro. E così trasforma il segno della colpa di Valjean nel segno di un amore più potente di quella stessa colpa. Davvero qui è Cristo stesso che irrompe al vivo nell’esistenza dell’ex galeotto. La stessa “alchimia” che Gesù ha compiuto col Suo sangue, Myriel la opera con la sua argenteria. Poiché Gesù si è consegnato alla morte in perfetta libertà, quel sangue che il colpo di lancia fa sprizzare fuori dal Suo fianco squarciato (cfr. Gv 19,34) diviene al contempo dono, segno dell’inarrestabile potenza dell’Amore, che vince il peccato nel momento stesso in cui è commesso. Lo stesso, in qualche modo, fa Myriel. Egli dà via per Valjean tutto l’argento che questi gli ha rubato. E così conquista il suo cuore.
Ecco il mistero della Misericordia: il perdono di Cristo non è un bonario “chiudere un occhio”, ma forza dell’amore che libera l’uomo dal suo male pagandone il riscatto col proprio sangue.

Ma c’è di più. Myriel non si limita a trasformare l’argento rubato in dono. Aggiunge i candelabri, che da soli valgono di più di tutto quel che Valjean aveva preso.
Sembra un dettaglio, invece non lo è: Valjean non è semplicemente liberato dalla sua colpa. Egli riceve in dono da Myriel la scoperta di una libertà ben più grande della semplice assoluzione, una libertà che davvero è senza limite. Si chiama gratuità. In Myriel, Valjean incontra la vera libertà, una libertà a tal punto sovrana, da riuscire a trasformare l’ingiustizia subìta in uno strumento del proprio affermarsi. Le fonti del rancore che lo teneva schiavo sono, così, prosciugate. Valjean è libero, libero come colui che può donarsi senza misura, perché senza misura si riconosce amato.

Capiamo, allora, perché proprio i due candelabri diverranno per lui il bene più caro. Essi materializzano - per così dire - il di più che Valjean ha ricevuto da Myriel: il potere di redamare, per dirla coi medievali, cioè di rispondere all’amore ricevuto in gratitudine. L’uomo redento non è semplicemente un uomo perdonato. Egli riceve in sovrappiù un potere che non aveva prima, che è il potere di partecipare della gratuità stessa di Dio. «Laddove ha abbondato il peccato, la grazia ha sovrabbondato» (Rm 5,20): è il dono dello Spirito. Così Myriel non si limita a perdonare Valjean. Gli affida un compito, una missione: «Ma ricordati, fratello mio, vedi in questo un progetto più grande: devi usare questo prezioso argento per diventare un uomo onesto. Dalla testimonianza dei martiri, dalla passione e dal sangue, Dio ti ha elevato dalle tenebre, ha salvato la tua anima».
Anche in questo Myriel richiama Cristo. Così, infatti, aveva fatto Gesù con Pietro: «Mi ami tu? Pasci le mie pecore». Il Vescovo non commisera Valjean. Non lo accarezza come si fa con un cavallo azzoppato, di cui si ha pena. No. Egli crede nel potere sovrano della grazia, che innalza il pezzente e lo rende re. E perciò scommette su di lui. Punta tutto su di lui, come non fosse mai caduto. Come tutto iniziasse oggi, per la prima volta. E, infatti, questo è la Misericordia: «Le cose vecchie sono passate. Ecco, ne sono nate di nuove...».
E Valjean risponderà. Tutto il resto del romanzo, come del film, mostra in un crescendo il frutto del seme gettato dal Vescovo nel suo cuore: una vita piena di gratuità - una gratuità che porta Valjean a muoversi secondo una logica diversa da quella del mondo che gli ruota attorno, e che, a conti fatti, commuove. Perché corrisponde alla vera misura per cui l’uomo è fatto.
Ciò non significa che il resto della vita di Valjean sia una strada diritta. Al contrario, la sua libertà è continuamente posta davanti a un bivio. Uno sconosciuto viene scambiato per lui e potrebbe essere condannato al suo posto. Per Valjean sarebbe la definitiva “liberazione” dallo spettro del carcere. Ma può egli tradire la sua nuova “libertà”? Dopo una notte di tormento, si presenta davanti ai giudici e riassume, questa volta liberamente, quel nome e quel numero, che all’inizio aveva rabbiosamente rigettato: «Io sono Jean Valjean. Io sono 24601!».
Quando viene a sapere che il giovane rivoluzionario Marius ama ricambiato la sua Cosette, potrebbe fuggire da Parigi, come aveva stabilito. Invece rischia la vita, per salvare la vita dell’uomo che potrebbe portargli via l’unico affetto rimastogli.

Infine, quando Javert, suo aguzzino prima e implacabile persecutore poi, cade improvvisamente nelle sue mani, Valjean è per un’ultima volta posto di fronte all’alternativa tra due libertà: quella del mondo, che calcola, e quella della gratuità, dell’amore al Bene fino al sacrificio. E ancora una volta sceglie per la seconda.
Forse nessuna scena cattura meglio la trasformazione di Valjean del “salvataggio” del povero Fauchelavant, sepolto sotto un carro che lo sta stritolando. Esposto allo sguardo di Javert, Valjean sa che un suo intervento potrebbe alimentare il sospetto già balenato nella mente dell’ex aguzzino: pochi a parte lui avrebbero la forza di sollevare un simile peso... Ma Valjean non esita, non soppesa. Nel film, la musica che accompagna la scena è, non a caso, la stessa che all’inizio faceva da sfondo all’erculea esibizione di forza di Valjean: la forza dell’ira di allora si è mutata nella forza ancora più grande dell’amore che si dà senza calcolo.

Per concludere, non si può non toccare un ultimo punto. Uno dei maggiori pregi del musical, insieme ad ovvi limiti rispetto al romanzo, è il fatto di riuscire a gettare, proprio attraverso la somiglianza delle melodie, ponti tra scene distanti, facendo percepire allo spettatore nessi altrimenti non immediati. Les Mis, come lo chiamano gli americani, è tutto un intreccio di questo tipo di rimandi. Così l’aria che esprime il tormento di Javert prima del suicidio è quasi identica all’assolo di Valjean, che, rimasto solo, lotta con se stesso prima di arrendersi all’amore ricevuto.

In questo modo comprendiamo un altro, decisivo aspetto: l’impatto con la Misericordia non annulla il dramma della libertà davanti a Dio. Al contrario, lo fa esplodere in tutta la sua radicalità. In fondo, è proprio davanti alla Misericordia che è messo fino in fondo a nudo il dramma dell’uomo: accettare di dipendere dalla gratuità di un altro è, infatti, meno facile di quel che sembra.

In L’attrattiva Gesù, don Giussani dice che, in un certo senso, il culmine dell’amare è accettare di essere perdonati. Perché? Perché è difficile. È difficile perché «picchia sul muso del nostro orgoglio, della nostra presunzione. Uno infatti vorrebbe essere amato perché vale», continua don Giussani: «Ma se tu vuoi essere amato perché vali, allora non ami l’altro. Ami te stesso».

Non è forse proprio questo, ridotto all’osso, il problema dell’uomo moderno? Il rifiuto della dipendenza. La differenza tra Valjean e Javert, è in fondo tutta qui. Entrambi sono messi davanti alla stessa Gratuità. Ma uno vi si arrende, in umiltà. L’altro invece vi resiste, andando contro il proprio stesso cuore, che non può fare a meno di rendere omaggio alla giustizia “più grande” del nemico di sempre. Incontratolo di nuovo nella notte, mentre questi sta portando in salvo Marius, Javert sa bene cosa dovrebbe fare. Eppure, per la prima volta, il suo cuore esita: qualcosa, come una mano invisibile, lo blocca. Valjean si allontana con il ragazzo in spalla, e Javert lo lascia andare. Ma non riesce a perdonare se stesso di averlo fatto. Una breccia si è aperta in the heart of stone. E tuttavia Javert non riesce a sopportare il frantumarsi del suo “mondo”...

Il mio cuore è pietra eppure trema
Il mio mondo diventa un’ombra
Quest’uomo viene dal paradiso
o dall’inferno?
E lui lo sa che risparmiandomi
la vita quel giorno mi ha ucciso
ancora di più?
Io mi protendo, ma cado
E le stelle sono nere e fredde
Mentre guardo il vuoto
Di un mondo che finirà
Io fuggo via dal mondo
Dal mondo di Jean Valjean
.